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UNE CHAMBRE EN VILLE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 31 marzo 1983
 
di Jacques Demy, con Dominique Sanda, Michel Piccoli, Danielle Darrieux, Richard Berry (Francia, 1982)
 
"Nantes, 1955. In una strada un gruppo di manifestanti, operai, studenti, uomini e donne da una parte, forze dell'ordine munite di scudi e visiere si affrontano. Un poliziotto afferra un megafono e ordina alla folla di disperdersi: questa situazione, che abbiamo visto centinaia di volte, ci fa sobbalzare. Per il semplice fatto che il poliziotto non parla, ma canta. E i manifestanti non lanciano slogan, ma cantano. È che Jacques Demy (LOLA, LES PARAPLUIES DE CHERBOURG), rappresenta nel cinema francese, diciamo pure europeo, del dopoguerra, il cinema musicato. Se le sue fortune presso la critica sono interamente dovute al suo talento, che è tra i più grandi del cinema francese, quello presso il pubblico è condizionato dalle fortune riscontrate presso i frequentatori delle sale cinematografiche di un genere un tempo imperante, il musical. Ma è poi giusto definire musical UNE CHAMBRE EN VILLE? A parte l'assenza dell'elemento coreografico, fa parte della commedia musicale questo scontro fra realismo e fantasia, che subito notiamo nel film? 0, ancora, la durezza dei dialoghi, talora al limite dell'osato, la crudeltà delle situazioni il rifiuto di quel "sogno", di quella magia, di quella tenerezza che nei dizionari di cinema d attribuiscono come qualità all'autore di una delle opere chiavi della nuovelle vague, LOLA?

Une chambre en Ville non e più una commedia musicale, e torto hanno quegli spettatori che non sopportano la musica al cinema nell'abbandonare la sala. È una tragicommedia, un vaudeville, un melodramma cantato. E quel "cantato" che fa sobbalzare lo spettatore alle prime scene non un è un vezzo gratuito, un capriccio di un autore in cerca di originalità. È, da un lato, il piccolo tributo, lo sforzo effimero che noi dobbiamo pagare per accedere alla dimensione del film; e, dall'altro, la condizione insopprimibile per l'autore per condurci a quella dimensione. Dopo cinque minuti noi spettatori ci saremo così abituati alla parola cantata, da dimenticare il fatto per concentrarci sui personaggi, sugli avvenimenti, sui dialoghi. Ma, allo stesso tempo, grazie al potere musicale che prolunga l'eco della parola o del gesto, che amplifica e trascende il significato di una scena o la reazione di una psicologia, ecco che l'autore possiede la chiave per spingere gli effetti della sua storia (in questo caso una storia di passione e di morte, di tragedia ma anche di satira, di commedia burlesca ma anche di testimonianza sociale e storica) fino a dei limiti altrimenti impossibili.

Assisteremo così al personaggio di Dominique Sanda in uno di quei ruoli folgoranti di donna fatale che appartengono al mito del cinema, a quello di Richard Berry, operaio in sciopero, generoso e impegnato e al tempo stesso velleitario e volubile; a Danielle Darrieux, madre borghese benpensante e egualmente lucidissima e arguta signora di femminilità indomita, a Michel Piccoli bottegaio grottesco, meschino ma anche patetico- alle fidanzate, agli amici di questa commedia da boulevard che volge in tragedia sociale, assiste remo a tutti questi personaggi mentre si proiettano continuamente all'estremo delle proprie possibilità. Ecco quindi il film passare, con un'alternanza continua, dal sorriso alla lacrima, dalla passione alla violenza, dal realismo al fantastico, dalla dolcezza alla crudeltà, dal sociale al privato.

Per riuscire questo condensato di emozioni estreme, di significati opposti Demy ha scritto un film praticamente perfetto. A cominciare dagli attori che, lo avrete compreso, si esprimono su livelli altissimi. Ma tutto il lavoro di Demy tende a questa valorizzazione dell'elemento primo (talvolta si tende a dimenticarlo) di ogni film. Tutto si organizza sul filo di una sceneggiatura impeccabile, una storia ad incastri (sul tema del destino, della matematica del caso e dei suoi effetti) che non lascia un attimo di tregua La scelta dei luoghi, delle scenografie, degli esterni che gravita con ritmata precisione sull'appartamento della vedova, addirittura sulla porta d'entrata che, eternamente riaperta, scandisce il succedersi, degli avvenimenti, riaprendo di continuo le logiche e i suoi significati. O l'uso del colore, gli ori della passione, le porpore o i cobalti degli sfarzi decaduti, il verdognolo squallido della bottega di Piccoli. E il gioco continuo delle inquadrature, dei movimenti di macchina, tutto concorre a significare sia sul piano della critica che su quello della poesia ogni momento del film. Il quotidiano della mediocrità borghese e il mito della passione, la constatazione sociale e quella dell' intimo. Ma soprattutto, la presenza dell'imponderabile, quest'elemento tipico del cinema di Demy: che continuamente stravolge la logica di un melodramma altrimenti prevedibile, che muta la satira grottesca in analisi, che permea di humour delicato la tragedia più fosca ma che, soprattutto, traduce in termini poetici una struttura altrimenti astratta e accademica.

Tragicommedia realista e popolare: con un solo neo, la difficoltà che ha il grande pubblico, la massa alla quale un film come questo è dedicato, a seguire il film. Ma spesso, e non solo in cinema, ci sono voluti alcuni anni perché anche il pubblico seguisse: se anche questo carattere di popolarità dovesse seguire, allora Une chambre en ville meriterebbe senz'altro quella definizione di capolavoro della quale il cinema francese degli ultimi 20 anni è stato troppo spesso avaro."


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